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  • Writer's pictureDiego Zancani

So chuffed to see an article in La Repubblica by Alessandro Allocca dedicated to the book







LONDRA - Chi crede che Londra e il resto del Regno Unito stia vivendo una golden age del food italiano si sbaglia di grosso. La passione per il made in Italy in tavola risale a tempi ancora più lontani, quando neppure l’Italia esisteva ma già gli antichi discendenti degli attuali britannici avevano capito che per raffinare il proprio palato si dovevano affidare alle tradizioni di una penisola. Una in particolare. A scoprirlo è Diego Zancani, professore di lingue medievali e moderne presso l’University of Oxford, che ha pubblicato un libro dal titolo “How we fell in love with italian food”, come noi (inglesi) ci siamo innamorati del cibo italiano. Il libro è nato dal voler approfondire il rapporto tra il cibo italiano e la cultura inglese, spiega il professore originario di Piacenza ma dal 1969 residente in Inghilterra; parte dal contributo più antico avvenuto con la conquista dell’isola britannia nel 42 dopo Cristo fino al grande successo della ristorazione attuale. Il lavoro di ricerca e stesura è durato all’incirca tre anni utilizzando manoscritti medievali, libri rari a stampa, e altre straordinarie risorse della Biblioteca Bodleiana di Oxford, che ospita circa 12 milioni di libri.

Furono i romani a importare una grandissima quantità di derrate alimentari - continua Zancani - comprese verdure importanti anche per la medicina, come il cavolo, la frutta, ciliegie, mele, castagne, noci; persino l’aglio, e altre erbe odorose. Migliorarono l’allevamento del bestiame e introdussero nuovi volatili tra cui il fagiano. Nonostante rimanessero per ben 400 anni, la loro eredità alimentare venne interrotta da un lungo periodo di invasioni. Bisogna attendere la fine del Trecento per trovare una ricetta per un tipo di pasta simile alle lasagne (losyns o loseyn) da far seccare e poi bollire in un buon brodo e servire con formaggio grattugiato e un po’ di spezie dolci. Il parmigiano, come lo conosciamo noi, arrivò molto più tardi ma aveva degli estimatori tra le classi abbienti. Durante il grande incendio di Londra, nel 1666, Samuel Pepys ne mise in salvo un grosso pezzo in una buca scavata in giardino. Poco dopo spuntarono nella capitale i primi negozi, noti come Italian warehouses, che oltre a vendere oggetti per la casa, fornivano anche olio d’oliva, acciughe, capperi, parmigiano e talvolta vermicelli. Il libro si occupa anche delle vicende dei numerosi viaggiatori inglesi e americani in Italia e l’interesse che molti avevano per la dieta “pitagorica” vale a dire vegetariana”.

Nel periodo del Grand Tour - aggiunge il professore - abbiamo varie testimonianze femminili sulle esperienze gastronomiche nel Regno Unito, e quelle del più grande avventuriero italiano, Giacomo Casanova, a Londra. A metà Ottocento, numerosissimi sono gli italiani in cerca di fortuna. Alcuni si adattano a fare i venditori ambulanti, vendendo castagne e patate arrosto d’inverno, e gelati d’estate, importando il ghiaccio da paesi come la Norvegia se necessario. Da questi intraprendenti pionieri sorgeranno poi i primi caffè, e più tardi le prime trattorie. La pizza arrivò tardi, ma anche in Italia all’inizio non aveva incontrato molta fortuna. Sono note le lamentele dell’americano Samuel Morse e dell’autore di Pinocchio, Carlo Collodi, quando l’assaggiarono. Guglielmo Marconi la trovò invece buona, ma ebbe qualche difficoltà con il formaggio filamentoso. Al che - si racconta nel libro - l’arguto cameriere napoletano sentenziò: “Vostra Eccellenza doveva inventare ‘a mozzarella senza fili, anziché il telegrafo!”. Il professor Zancani, come anticipato, è originario di Piacenza. La passione per gli idiomi lo indirizzò verso la facoltà di Lingue e Letterature Straniere della Bocconi di Milano. Appena laureato fu chiamato per il servizio militare e durante quel periodo preparò l’abilitazione all’insegnamento, continuando però sempre a pensare come migliorare l’inglese. Scrisse a varie università nel Regno Unito riuscendo a ottenere un posto di “lettore di italiano” a Reading, dove rimase per quattro anni. Il capo dipartimento allora era lo scrittore Luigi Meneghello, e Giulio Lepschy era professore di linguistica. A seguire venne nominato all’Università di Liverpool dove insegnò per 6 anni per spostarsi all’Università del Kent, a Canterbury dove rimase per i successivi 15 anni fino a diventare professore ordinario e capo del dipartimento di lingue straniere. Canterbury mi piaceva - ricorda Zancani - per un insieme di ragioni inclusa la quantità di magnifici funghi porcini che raccoglievo nei boschi dell’università. Nel 1995 fu nominato “per acclamazione” professore a Oxford in uno dei più antichi collegi dell’università, Balliol College, e nel 2004 venne eletto Praefectus, vale a dire direttore, di Holywell Manor, il centro di studi post-laurea di Balliol.  Era la prima volta che questa carica veniva conferita a un italiano.

Una volta, durante la presentazione del libro, una persona mi chiese come ho fatto a non morire di fame quando arrivai in Inghilterra nel 1969 - racconta Diego Zancani -. Beh, non esageriamo, ma certamente l’olio d’oliva si trovava soltanto in farmacia, in piccole confezioni. Era estremamente raffinato e per uso esclusivamente medicinale. Certamente quando Anna Del Conte, una delle prime e massime autorità per quanto riguarda il cibo italiano nel Regno Unito, arrivò nel 1949 si accorse ben presto di essere giunta in un “deserto gastronomico” e decise di porvi rimedio. Da allora è stato un susseguirsi di libri sulla cucina, da quello di Elizabeth David Italian food del 1954, a quello, dal titolo francese, Plats du jour ma con dettagliate istruzioni per fare i ravioli di Patience Gray e Primrose Boyd.  L’apertura della prima vera trattoria italiana in senso moderno, la Trattoria Terrazza a Soho,  nota in Inghilterra come The Trat, si deve a due geniali napoletani, entrambi camerieri al Savoy,  Mario Cassandro e Franco Lagattolla che l’inaugurarono nel giugno del 1959. In America nel 1973, Marcella Hazan pubblicò con grande successo The Classic Italian Cook Book mentre nel 1987 Rose Gray e Ruth Rogers aprirono a Londra il ristorante The River Café importando la cucina toscana e l’ingrediente tipico della ribollita, il cavolo nero. Oltre ai libri ci furono numerosi programmi televisivi interamente dedicati al cibo italiano, tra cui spiccano quelli di Jamie Oliver e Giorgio Locatelli. Il numero dei ristoranti italiani di ottimo livello continua ad aumentare a Londra e anche in altre parti del Regno Unito.

Si discute spesso dell’autenticità di certi piatti, di certe ricette, e Anna Del Conte ha coniato il termine Britalian per indicare l’adattamento di certe pietanze al gusto britannico, come ricorda lo stesso professore di Oxford. Il concetto stesso di autentico non è sempre facile da definire in modo rigoroso. Ovviamente sono spesso in gioco fenomeni di marketing, e non si possono sempre imporre i gusti prevalenti in una regione italiana. L’uso indiscriminato dell’aglio, per esempio, dei pomodori, o del peperoncino, può avere effetti controproducenti. La concorrenza delle cucine più o meno autentiche delle varie regioni asiatiche è molto forte, ma per il momento il desiderio di ritrovare i sapori dell’Italia sembra trionfare anche fra le tavole più illustri. Noto è infatti l’amore del Principe Carlo per il re dei salumi: il culatello di Zibello.





Photo by Gioia Olivastri ©



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